Il caso che si cerca di affrontare in questo articolo è quello della funzione del nome proprio nella individuazione di un personaggio storico o pseudo-storico all’interno di una cornice storica che in origine non lo prevedeva[1]. Un buon esempio può essere quello di Gormund, pagano antagonista della chanson de geste conosciuta col nome di Gormund et Isembart, testo dell’XI secolo giunto a noi solo attraverso un frammento[2]. La prima parte della porzione di testo tràdita vede giganteggiare la figura del pagano Gormund, che uccide in serie numerosi cavalieri francesi in una battaglia che è ricalcata sulla reale battaglia tra francesi e vichinghi svoltasi a Saucourt (Francia settentrionale) nell’881. La figura di Gormund, pur essendo intessuta di materiali storici e di reminiscenze scandinave, non ha legami con la battaglia dell’881. Anche se Gormund agisce e combatte come un vero vichingo, tuttavia i resoconti storici sulla battaglia non citano alcun condottiero per lo schieramento vichingo, il quale assume piuttosto i contorni di una massa anonima: per prima la chanson de geste ‒ ed essa soltanto ‒ dà un nome e un volto al capo dell’armata pagana. La reliquia storica più significativa che caratterizza il personaggio è il fatto che combatta a piedi, come appiedati sono pure i suoi soldati, forse rispecchiando così la storica tecnica di combattimento delle popolazioni nordiche.
Poiché manca un riscontro con una figura storica precisa legata direttamente a Saucourt, la critica tradizionale ha comunque cercato di identificare variamente il personaggio del testo con alcuni pirati scandinavi del IX secolo (ma anche con figure appartenenti a altri orizzonti) dai nomi vagamente simili, facendo comunque sempre leva sull’indizio onomastico: sia che fosse identificato col pirata danese Godrum, sia che fosse accostato ai vari Wermund, Goramund, Gormant, Gudmundr[3] (nella maggior parte dei casi, identificazioni assai improbabili), la critica ha cercato di individuare un prototipo storico nella coincidenza onomastica. La maggior parte degli studiosi ha comunque puntato la propria attenzione sulla figura storica di Godrum, pirata scandinavo che infestò nella seconda metà del IX secolo i regni anglosassoni, legato a Gormund da alcune coincidenze.
Nella canzone di gesta Gormund sembra infatti essere padrone della città di Cirencester, luogo che per coincidenza le cronache insulari[4] indicano come temporanea sede di Godrum esattamente negli stessi anni di Saucourt, cioè verso la fine del sec. IX. Inoltre l’esercito di Godrum, dopo essere stato sconfitto da re del Wessex Alfredo, entrò in comunicazione (un’espressione vaga per pareggiare le espressioni altrettanto vaghe che usano le cronache latine)[5] con l’esercito che si apprestava a partire per la serie di raids sul continente culminata con la battaglia dell’881. A queste connessioni – vaghe e incerte, ma importanti – bisogna aggiungere l’apparente legame onomastico, fra Gormund e Godrum (previe alcune presunte trasformazioni a partire dal nome vichingo Gorm). Tutto ciò trova consacrazione in un passo di uno scritto di Guglielmo di Malmesbury[6] in cui si dice esplicitamente che Godrum è conosciuto anche col nome di Gormund.
Quali sono i processi trasformazionali entro cui passa una figura storica quando viene trasferita in una nuova tradizione narrativa? Un modello che rappresenti questo fenomeno, sempre incentrato sul nome può essere quello espresso da C. Carozzi e da J. Batany (rispettivamente su Adalberone di Laon e sulla figura di Renart). In sostanza il nome attirerebbe attorno a sé una serie di elementi che possono essere trasferiti nella nuova cornice epica che fino a quel momento soffriva di un vuoto onomastico. In questo caso si formerebbe nelle tradizioni folkloriche un mito intermediario attorno al nome del personaggio storico i cui caratteri verrebbero trasferiti assieme al nome quando riutilizzato per nominare nuovi personaggi[7].
Qualcosa di simile si potrebbe dire per il personaggio di Gormund. Nel momento in cui la leggenda della battaglia di Saucourt viene portata entro il mito epico e viene piegata alle esigenze di questo (i normanni diventano saraceni, Luigi III diventa Ludovico figlio di Carlo, ecc.), le norme del genere epico pretendono che si dia un volto e un nome al comandante delle truppe contro cui combattono i francesi, poiché le fonti sulla battaglia tacevano su questo punto. Per tale ragione sarebbe stato trasferito entro questo nuovo supporto narrativo un personaggio mitizzato già noto alle tradizioni culturali, Godrum–Gormund.
Tenendo presente che l’importazione e il trasferimento possono essere stati dettati effettivamente da un vuoto da colmare all’interno di un sistema (di personaggi in questo caso), tuttavia il solo nome non è necessariamente il tratto-guida per identificare un personaggio, ma possono essere utili anche altri elementi. Infatti non si può ignorare che se per i vari Renart o Adalberone possediamo tracce dell’associazione nome-attributi del personaggio, Godrum e Gormund sono assimilabili in base a pochi dettagli e solo lontanamente sul piano onomastico: nessuna fonte invece ci ha tramandato Godrum con tratti epici simili a quelli di Gormund. In questa direzione sono preziose le riflessioni del Saussure (nelle note inedite sui Nibelunghi e su Tristano) sull’equi-indifferenza dei tratti costitutivi del segno-personaggio. Il personaggio (quello medievale, in particolare) di una narrazione è costituito da nome, qualità fisiche, qualità morali, attributi di vario genere, funzioni sociali e diegetiche, da una serie di tratti e di elementi il cui assemblaggio è contingente e contestuale, mobile a livello diacronico e quindi mai perfettamente identificabile con un altro personaggio o una figura storicamente esistita che pure porti lo stesso nome: viene messa in dubbio, insomma, la stabilità del segno nel tempo, mentre ciò che ci resta è solo una certa riconoscibilità tra associazioni simili di tratti e nulla di più. In questo modo, perde valore primario il nome a favore di altri elementi, quali il carattere o le azioni. Soprattutto queste ultime sono importanti per il discorso che seguirà: per quanto il nome sia un ottimo indicatore per cercare le evoluzioni di un personaggio, non bisogna ignorarne le azioni che possono essere trasferite a un altro individuo per ricostituire un’unità semiologica simile e con affine funzione nella struttura di una narrazione. Possiamo riconoscere tipizzazioni ricorrenti, ma perché un personaggio entri a far parte di quella tipologia non sarà sufficiente o necessario il vincolo del nome: una ricostruzione genealogica di un personaggio a partire solo dal nome è parziale ed errata[8].
Per ricostruire le componenti che si sono combinate nella genesi del personaggio di Gormund, bisogna uscire dallo stretto sentiero della somiglianza onomastica tra presunto prototipo e personaggio. Un formidabile suggerimento è fornito da una delle fonti più antiche sulla leggenda di Gormund, i Modernorum regum francorum actus di Ugo di Fleury[9], i quali stabiliscono un’equazione tra Hasting[10], un altro pirata scandinavo che sconvolse ripetutamente la Francia nel corso del IX secolo[11], e il nostro Gormund; associazione di ampia diffusione, a giudicare dall’espressione vulgo solet nominari usata da Ugo: si dice infatti che Hasting era conosciuto dal popolo col nome di Gormund.
Il testo è stato poco considerato nella ricostruzione della tradizione gormundiana, proprio perché a questa equazione non è stato dato lo stesso valore di quell’altra associazione, assai più tarda però, operata da Guglielmo di Malmesbury – Ugo scrive attorno al 1108, Guglielmo un quarto di secolo più tardi –, tra il pirata Godrum e il nostro Gormund: in quest’ultimo caso la critica si è concentrata sulla somiglianza tra i nomi, scartando la coppia Gormund-Hasting, che poco può dare se si cerca un prototipo storico alle spalle di Gormund, ma che al contrario risulta prolifica se si cerca un prototipo culturale. Infatti la coppia di Ugo di Fleury fornisce indicazioni sulla tradizione culturale in cui si inserisce Gormund, in quanto le caratteristiche attribuite a Hasting da una serie di narrazioni si avvicinano in parte a quelle di Gormund: pertanto la base culturale dell’associazione Gormund-Hasting non poggia sul tratto onomastico ma su altri elementi che mettono in luce una tipologia di personaggio presente in diverse tradizioni della Francia oitanica, ossia quella del vichingo invasore dipinto come un gigante[12].
Proverò quindi a individuare una serie di tratti che accomunano Hasting e Gormund. Questi elementi mostrano una vicinanza tra queste due figure e la complessità culturale di una figura tipologica, legata appunto alle invasioni vichinghe, un segno-personaggio che possiamo definire polimorfo in quanto in esso vengono inclusi e ricombinati variamente tratti e motivi letterari (aspetti specifici delle chansons de geste), leggende e motivi del folklore.
La Chronica de gestis consulum Andegavorum[13], cronaca ufficiale della casa comitale di Angiò, compilata in quattro redazioni differenti a partire da un nucleo primitivo risalente al 1109 (a cui presumibilmente appartiene anche il brano che qua ci interessa) racconta che Parigi è assediata da un’armata di Dani e Saxones agli ordini di un certo Huasten, al cui servizio vi è anche un uomo di notevoli dimensioni e di grande possanza, Hethelwulfus, che è chiamato Haustuinus in francisca lingua. È assai probabile che vi sia stato uno sdoppiamento onomastico (secondo Ferdinand Lot, a causa di una fonte mal compresa) del prototipo del guerriero portentoso di cui si legge nella cronaca angioina, per cui il nome deformato del pirata vichingo Hasting (la cui comparsa nel X secolo è anacronistica e mostra come la figura di Hasting, svincolata dalla storia, sia ormai patrimonio di elaborazione culturale e leggendaria) diventa quello del comandante danese Huasten e quello di Hethelwulfus-Haustuinus.
Questo guerriero gigantesco, vero e proprio alter Goliath, affronta in duello e uccide i migliori cavalieri francesi. Goffredo, conte di Angiò, affronta il pagano in duello. Lo scontro avviene a cavallo e Goffredo atterra subito con un colpo il gigante, dopodiché estrae la spada e, alter David, taglia la testa al nemico gemebondo e furente ma ancora a terra.
Gli elementi più vistosi di congiunzione tra Haustuinus e Gormund sono quelli che si riferiscono alla tipologia di personaggio epico del Satenas, ossia del guerriero gigantesco e per certi versi mostruoso, che porta devastazione e morte tra le file dei francesi. Gormund stesso è identificato nella canzone di gesta con termini quali Satenas, ʽSatanassoʼ, aversier (ʽdiavoloʼ in antico-francese), Antecrist[14].
Una riflessione a mio modo di vedere merita anche la modalità del combattimento, in quanto essa distingue il racconto della cronaca angioina e del Gormund dal modo di procedere del Roland e del Guillaume. Infatti i primi due racconti epici sono incentrati sulla figura dell’antagonista (Haustuinus e Gormund) a cui si oppone una pluralità di avversari cristiani, uno dopo l’altro sconfitti fino all’arrivo dell’eroe principale dell’epopea (Goffredo e Ludovico). La dinamica del duello è ripresa anche nelle altre due summenzionate chansons de geste, ma con la differenza non irrilevante per cui la prospettiva è capovolta: l’eroe cristiano ha un ruolo assai più centrale mentre dalla massa dei pagani emergono più figure che si lanciano contro l’eroe e verso la morte per mano di questo.
L’archetipo del primo di questi due patterns può essere senz’altro l’episodio biblico di Davide e Golia, come evidenzia piuttosto scopertamente la cronaca angioina: tuttavia non si può escludere che il modello narrativo sia legato a una specifica modalità di presentazione delle invasioni normanne in territorio francese, assai più antico rispetto al secondo motivo, più evoluto, gravitante sulla celebrazione di eroi nazionali (e non sulla paura generata da singole figure di invasori pagani fronteggiati da eroi regionali) e pertanto di matrice ʽcristianaʼ.
Approfondendo la dinamica del duello, notiamo un’altra costante ricorrente legata alla figura del Satenas, ossia l’elemento verbale, i discorsi e le invettive lanciate dal temibile pagano in spregio ai francesi cristiani. Mi limito a sottolineare come sia Hethelwulfus-Haustuinus che Gormund mettano alla prova la pazienza dei cristiani con parole sprezzanti. Il primo stuzzica le schiere dei francesi (agminibus Francorum exprobrans) e riempie di sdegno Goffredo (Viso Dano eiusque clamore audito, comes infremuit); il secondo irride i cavalieri che si susseguono per duellare con lui e arriva anche a deridere la pochezza del dogma cristiano della Resurrezione[15].
In conclusione, si ravvisano elementi che contribuiscono ad avvicinare la tradizione su Hasting a quella del poema su Gormund e Isembart nel segno di un rapporto non genetico bensì combinatorio: la costruzione di questi racconti a carattere eroico contiene vari elementi riassemblati diversamente, pur confermando un’assomiglianza generica e nebulosa, che può spiegarsi con il riuso di materiali di una stessa cultura.
In questo senso, la ricerca delle radici storiche delle leggende epiche a partire soltanto dai nomi di singoli personaggi che legano storia e leggenda può risultare limitativo rispetto alla pluralità di stimoli culturali che attraversano la genesi dei personaggi delle letterature medievali.
[1] La questione nel territorio dell’epica medievale è stata affrontata con approcci diversi sia dalla scuola di ispirazione individualista che da quella tradizionalista (e all’interno di questa andranno distinte le posizioni neo-tradizionaliste). La principale preoccupazione per entrambe le correnti è stata quella di chiarire le modalità con cui un personaggio storico possa essere trasposto in una leggenda storica che non lo riguarda e soprattutto quando questo passaggio sia avvenuto. In particolare, dato che ovviamente il personaggio narrativo è pressoché stravolto rispetto all’immagine del suo prototipo storico, i critici si sono sforzati di identificare le trasformazioni che intercorrono tra la persona storica e quella narrativa. Il caso della canzone di gesta Gormund et Isembart che mi accingo a illustrare è esemplare di queste posizioni: Ferdinand Lot e Jospeh Bédier ricorrono a ipotesi che sono anche un modello per le scuole tradizionaliste e individualiste a cui rispettivamente appartengono. Senza entrare nei dettagli mi limito a rimandare a: Ferdinand Lot, Gormond et Isembard. Recherches sur les fondements historiques de cette épopée, «Romania», XXVII (1898), pp. 1-54; Joseph Bédier, Légendes épiques, tomo IV, Paris, Champion, 1913, pp. 21-91.
[2] Riassumo brevemente la leggenda a cui fa riferimento la canzone: il nobile francese Isembart ha tradito e rinnegato le proprie origini cristiane e francesi per allearsi con il pagano Gormund contro re Luigi; i due alleati, alla testa di un grande esercito, invadono la Francia settentrionale e compiono devastazioni (in particolare, distruggono il monastero di Saint-Riquier); a Cayeux l’armata pagana affronta quella francese e (qui inizia il frammento, in medias res) Gormund fa strage di cavalieri avversari; dopo aver perso gran parte dei suoi migliori cavalieri, Luigi si decide ad affrontare lui stesso il temibile pagano; il duello termina con l’uccisione di Gormund, anche se lo sforzo dello scontro risulterà fatale pure a Luigi: morirà un mese dopo; Isembart, dopo aver pianto sul cadavere del suo alleato, continua a combattere pur essendo conscio del proprio destino; nella furia cieca dello scontro, sconfigge in duello perfino il proprio padre, senza riconoscerlo ma senza nemmeno ucciderlo; mentre i pagani cominciano a fuggire, Isembart viene ferito a morte da quattro francesi; prima di spirare chiede perdono a Dio e alla Vergine (qui improvvisamente termina il frammento). Per una edizione recente del testo si veda: Gormund e Isembart, a c. di Andrea Ghidoni, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2013.
[3] Nessuno dei personaggi proposti però ha a che vedere con i fatti di Saucourt. Cfr.: Ivor Arnold – Harry Lucas, Le personnage de Gormont dans la chanson de Gormont et Isembart, in Mélanges de philologie romane et de littérature médiévale offerts à Ernest Hoepffner, Paris, Belles Lettres, 1949, pp. 215-226 (Wermund); Ernst E. Metzner, Wandalen im angelsäschsichen Bereich? Gormundus Rex Africanorum und die Gens Hastingorum. Zur Geschichte und Geschichtlichkeit des Gormund-Isembart-Stoffs in England, Frankreich, Deutschland, «Beiträge zur Geschichte der Deutschen Sprache und Literatur», XCV (1973), pp. 219-271 (Goramund); Elaine C. Southward, Gormont, roi d’Afrique, «Romania», LXIX (1946), pp. 103-112 (Gormant e Gudmundr).
[4] Cfr. Asser, Gesta Alfredi (55-63; Vita Aelfredi, a c. di W. Stevenson, Oxford, Oxford University Press, 1904); Cronaca anglosassone (anni 879-880; The Anglo-Saxon Chronicle, a c. di M. Swanton, New York, Routledge, 1996).
[5] Cfr. Asser, Gesta Alfredi, 58: «Eodem anno magnus paganorum exercitus de ultramarinis partibus navigans in Tamesin fluvium venit, et adunatus est superiori exercitui [esercito precedentemente menzionato, guidato da Godrum e installato a Cirencester], sed tamen hyemavit in loco, qui dicitur Fullonham, iuxta flumen Tamesin».
[6] Guglielmo di Malmesbury, Gesta regum Anglorum, 126-127 (De gestis regum Anglorum, a c. di W. Stubbs, London, Eyre and Spottiswoode, 1887).
[7] Per esempio nel caso, affrontato da Carozzi, di Adalberone di Laon, detto anche Ascelin, vescovo implicato nel tradimento che portò alla corona di Francia i Capetingi contro i legittimi eredi Carolingi, si sarebbe formato una sorta di mito che lo intrecciava con la storia degli eredi di Carlo Magno, ma anche con il tradimento di Giuda. Questa serie di relazioni è trasferita nel momento in cui nel Couronnement de Louis il normanno Acelin (variante di Ascelin) si oppone al giovane Louis erede di Carlo: il nome di Adalberon/Ascelin è impregnato di significati tradizionali. Viceversa, nell’ambito della zooepica, Batany ritiene che più conti di Sens – figure ambigue e infingarde secondo la tradizione, il cui nome dinastico più reiterato era Renart – siano stati fusi sotto il nome di Renart in una figura esemplare, etichetta trasferita poi assieme ai caratteri dei suoi portatori per nominare la volpe delle tradizioni narrative alla base del celebre roman. Si veda: Claude Carozzi, Le dernier des Carolingiens: de l’histoire au mythe, «Moyen Age», LXXXII (1976), pp. 453-76; Jean batany, Renart et les modèles historiques de la duplicité vers l’an mille, in Third International Beast Epic, Fable and Fabliau, Koln, Böhlau 1981, pp. 1-24.
[8] Per gli appunti sulle leggende germaniche, seguo il testo dell’edizione-antologia curata da A. Marinetti e M. Meli: Ferdinand de Saussure, Le leggende germaniche, Padova, Zielo-Este 1986. Si leggano, per esempio, le note 3958/8 p. 21r (e seguenti) e la nota 3959/11.
[9] Cfr. Monumenta Germaniae Historica, Scriptores, IX, Hanover, Hahn, 1851, p. 378.
[10] In quanto il personaggio storico-leggendario è conosciuto soprattutto come Hasting, continuo a usare questa forma onomastica. Tuttavia tale nome è una deformazione da parte dei testi mediolatini di un nome genuinamente norreno (le forme più usate sono: Alstagnus, Alstingus, Hastengus, Haustuinus, Huasten; nella Cronaca anglosassone invece, Haesten), forse Hàsteinn oppure Haddingr-Haddingi (cfr. Frederic Amory, The Viking Hasting in Franco-Scandinavian Legend, in Aa. Vv., Saints, Scholars and Heroes: Studies in Medieval Culture, Collegeville, Hill Monastic Manuscript Library 1979, pp. 265-286). A scanso di equivoci, il toponimo inglese della celebre battaglia del 1066, Hastings, è assolutamente irrelato con Hasting (il toponimo ha un’origine anglosassone, dall’etnonimo Haestingas, tribù che diede vita a un regno locale tra il VI e l’VIII secolo).
[11] La fonte storiografica principale per la vita di Hasting è Dudone di Saint-Quentin (cfr. De moribus et actis primorum Normanniæ ducum, a c. di Jules Lair, Caen, Le Blanc-Hardel, 1865). Quest’ultimo ci racconta le origini nobili di questo vichingo (di ascendenze classiche, arrivando fin sotto le mura di Troia) e la sua espulsione dal regno danese, secondo il costume nordico di esiliare la popolazione giovanile in eccedenza. Dudone pone a contrasto il comportamento empio e bestiale di Hasting con gli atteggiamenti di Rollone, investito di una missione di cristianizzazione nonché della fondazione dello stato normanno in Francia: in particolare Hasting si macchia di devastazioni e dell’incendio di abbazie quali Saint-Denis e Saint-Quentin. Dudone omette le numerose sortite del pirata normanno lungo la Loira (citate invece da Reginone di Prüm, Chronicon), limitandosi solo alle razzie sul corso della Senna. Di Hasting si narra anche la spedizione in Spagna e in Italia, con la presa della città di Luna (l’odierna Luni) – che peraltro i Normanni scambiano per Roma – tramite uno stratagemma e un inganno – per farsi aprire le porte della città, finge prima la conversione e poi la propria morte –, secondo uno schema narrativo tipico delle leggende sui Normanni, in cui vengono utilizzati exempla della loro trickery. Nell’882, secondo la leggenda stringe un patto di alleanza col re di Francia, per il quale Hasting chiede in contropartita o denaro (secondo Dudone) o Chartres (secondo Guglielmo di Jumièges, Gesta Normannorum ducum), senza che per questo cessi le attività incendiarie: negli Annales Vedastini, si racconta di un attacco a Saint-Vaast nell’anno 891. Hasting scompare dalla leggenda e dalla storia nell’anno 894.
[12] Annales Vedastini (Monumenta Germaniae Historica, Scriptores, II, Hanover, Hahn, 1829, pp. 196-209.
[13] Testo e commento del brano in: Ferdinand Lot, Geoffroi Grisegonelle dans l’épopée, «Romania», XIX (1890), pp. 377-393.
[14] Gormund et Isembart, v. 368: «tot cors a cors a l’aversier»; vv. 204-206: «Aveez veü dë Antecrist / qui tuz nos homes nus ocist / e Damne Deu tant fort laidist?»; v. 507: «la u jut mort le Satenas».
[15] Si vedano i vv. 193-195 del poema: «Mal guarira, par Apollin, / qui sul sun cors ne pot guarir: / ke li n’estust de mort murir!».