Orson e gli altri – o dell’allattamento dell’eroe

Nel romanzo tardo-medievale di Valentin et Orson emerge uno dei temi ricorrenti delll letteratura eroica medievale: il protagonista trascorre un periodo di vita da enfant sauvage, durante il quale egli viene nutrito e allattato da un animale. Mi occuperò nei prossimi paragrafi di evidenziare l’importanza dell’allattamento animale nei racconti eroici di molte tradizioni e di sottolineare come ancora nel Medioevo esso abbia, nonostante il giudizio negativo dato all’animale, un ruolo fondamentale nella costruzione dell’identità dell’eroe.

La storia di Valentin et Orson esiste in diverse lingue europee: c’è una versione alto-tedesca e una olandese, nelle quali Orson si chiama Namelos, letteralmente “senza nome”; una versione medio-inglese e una medio-francese, entrambe in prosa e del XV secolo; tuttavia da altre fonti sappiamo che dovette esserci anche una chanson de geste antico-francese del XIV secolo chiamata Valentin et Sansnom, ora perduta. Qui di seguito farò riferimento alla versione medio-francese, ma le altre versioni presentano pressoché la medesima storia. In questo testo l’imperatrice Bellyssante dà alla luce due gemelli in una foresta, quando un’orsa le si avvicina e rapisce uno dei due neonati (cap. 5, p. 40), lo porta nella propria grotta per darlo in pasto ai suoi piccoli ma, miracolosamente, questi non lo trattano come cibo ma come un fratello, giocando con lui come fosse uno di loro; l’orsa perciò decide di crescere il bambino come fosse suo, allattandolo e procurandogli da mangiare (cap. 6, p. 46). Per questa ragione («pour cause de la nutrition de l’ourse») il bambino, crescendo, sviluppa delle caratteristiche fisiche e comportamentali ursine: diventa peloso come una belva selvatica, cresce in grandezza e vaga nella foresta, battendosi contro le altre bestie che incontra e divorandole, spargendo così il terrore di sé tra animali e uomini. Il testo lo chiama del resto Orson a causa dell’orsa che l’ha nutrito e del suo aspetto peloso («pour cause de l’ourse qui le nourrist et allaita, et pelage avoit comme ung ours»). A questo punto il suo fratello gemello, Valentin, il quale ha anche vissuto un’infanzia travagliata lontano dalla famiglia d’origine ma che è cresciuto in una comunità umana ed è diventato cavaliere, sente raqccontare di un uomo-orso che semina il terrore nella foresta e decide di andare a cercarlo per sconfiggerlo (cap. 12, p. 92). I due fratelli – che non sanno di esserlo – si scontrano, e il loro combattimento finirebbe alla pari se a un certo punto Valentin non usasse un coltello per minacciare Orson: davanti all’uso di questa tecnica umana, Orson accetta la superiorità dell’avversario e anzi si propone a gesti di seguirlo e aiutarlo; nel viaggio avventuroso che ne seguirà, Orson si batterà eroicamente a fianco del suo perduto fratello mentre Valentin gli insegnerà come comportarsi nella comunità di uomini alla quale ora deve appartenere.

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Orson non è l’unico eroe della letteratura medievale a trascorrere un periodo di tempo come enfant sauvage: diversi bambini dell’epica e del romanzo sono rapiti da un animale in tenera età e vengono nutriti o addirittura cresciuti da esso, come ad esempio succede in Doon de Mayence, Lion de Brouges, Tristan de Nanteuil. Ma il fattore chiave dell’inselvatichimento di Orson sembra essere l’allattamento: attraverso di esso Orson acquisisce i tratti animaleschi che lo differenziano dal fratello ma che ne fanno un personaggio straordinario per forza e valore, non inferiore ma complementare a Valentin. Per capire meglio il valore di questo allattamento, è necessario fare un piccolo excursus sul significato dell’allattamento nel Medioevo, e del valore rivestito in particolare dall’allattamento animale nel corpus leggendario.

Stando a quanto emerge dall’indagine di Doris Desclais Berkvam, nel Medioevo nel caso di una famiglia ricca e nobile era quasi scontato che la madre non fosse obbligata ad allattare e a prendersi cura del figlio dopo la nascita, ma che dovesse rivolgersi a delle nutrici professioniste (Desclais Berkvam 1981: 46-7). Ciononostante, la qualità della nutrice è tutt’altro che secondaria, in quanto il latte materno non era considerato un semplice fluido corporeo, ma veniva creduto responsabile dei futuri sviluppi fisici e morali del bambino. In questo senso è significativo il caso di Le conte de Floire et Blanchefleur: qui i genitori pagani del piccolo Floire confidano il bambino ad una balia cristiana ma assegnano il ruolo della nutrice ad una fanciulla pagana, evidentemente per la credenza diffusa che il latte materno fosse anche un nutrimento spirituale. Inoltre, il latte può creare un legame forte almeno quanto quello di sangue: è quanto succede in Parise la Duchesse, dove un rapporto di uguale livello lega Parise con il suo figlio naturale da una parte e con il bambino che ha allattato dall’altra; come nota Finn Sinclair, almeno in questo caso la maternità fisica e simbolica si equivalgono perché «milk and blood appear interchangeable substances (…) both with inherent genealogical and familial value» (Sinclair 1997: 230). Anche gli scritti teorici medievali e i sermones sembrano confermare questa visione dell’allattamento: il sangue materno è visto come una sorta di trasformazione del sangue, al punto che spesso i due fluidi sono visti in continuità l’uno con l’altro. L’allattamento è perciò pensato come «une transmission complémentaire à celle qui s’effectue par le sang in utero. Les enfants ressemblent à qui les nourrit de son lait» (Dittmar et alii 2011: §4).

Ma cosa succede quando l’allattamento di un neonato umano viene fatto da un animale? La considerazione dell’animale nel pensiero cristiano medievale lo pone su un livello di subalternità nei confronti dell’uomo. Già nella Genesi in diversi punti viene ribadito il diritto di dominio dell’uomo sugli animali all’interno del Creato; nel Medioevo questa divisione netta viene accentuata negli scritti di Agostino e ancora Isidoro, per i quali l’animale è privo di ragione e dunque di anima. Ha luogo anzi una vera a propria demonizzazione dell’animale, il quale viene associato simbolicamente alle fauci dell’inferno quando si tratta di un predatore, alla violenza distruttiva quando si tratta di animali selvatici; ma è in generale in quanto animale, anche senza essere carnivoro o selvatico, che possiede sempre una qualche misura di viziosità intrinseca (Salisbury 2011: 12-3). Questa visione si rispecchia anche nell’errata etimologia medievale della parola félonie, che la faceva derivare dal Latino fel, “fiele”, ovvero l’umore tossico prodotto da quasi tutti gli animali (tranne alcuni considerati fisiologicamente e simbologicamente puri, come la colomba) (Voisenet 1997: 153).

Date queste premesse ci aspetteremmo che l’intrinseca qualità negativa dell’animale renda dannoso l’allattamento interspecie dei bambini umani. In realtà sappiamo che non è così, anzi: sono gli eroi e i personaggi dalle qualità straordinarie che, durante i primi mesi di vita, sono allattati da un animale. Gli eroi di diverse tradizioni epiche passano un’infanzia ai margini della comunità di appartenenza: sono allontanati dalla famiglia di appartenenza e vengono abbandonati in un luogo selvaggio, dove spesso vengono salvati da un animale selvatico che provvede a loro e li allatta: il caso più celebre è probabilmente quello della leggenda di Romolo e Remo che, dopo esser stati abbandonati alle acque in una cesta, nei pressi del colle Palatino vengono salvati e allattati da una lupa; ma già Otto Rank agli inizi del secolo ha stilato un inventario di eroi antichi dalle storie simili. Come ho accennato sopra, nella tradizione medievale sono molti gli eroi e i santi che vengono allattati  da animali, soprattutto cerve o capre; nel caso dei santi l’allattamento avviene anche dopo l’infanzia, come nel caso celebre di S. Egidio, al quale Dio invia una cerva che lo nutre con il suo latte durante il suo eremitaggio (Dittmar, Maillet, Questiaux 2011: §17-25). Particolarmente interessante mi pare però anche il caso di S. Stefano: nonostante l’agiografia tradizionale non preveda l’allattamento animale del santo, ad essa si sovrappose una leggenda, probabilmente di derivazione popolare, secondo la quale il piccolo Stefano, rapito da un demone alla nascita, sarebbe stato poi allattato da una cerbiatta miracolosa (Schmitt 1982: 107). Evidentemente anche quando la leggenda originale non lo prevedeva, la diffusione del motivo nelle storie eroiche e il suo valore positivo all’interno della costruzione del personaggio erano tali che l’allattamento animale poteva essere attribuito in seguito nella trasformazione della storia.

Martino di Bartolomeo, pala d'altare con storie della vita di Santo Stefano (dettaglio di Stefano allattato dalla cerbiatta), terzo decennio del XV sec., Francoforte, Städel Museum.

Martino di Bartolomeo, pala d’altare con storie della vita di Santo Stefano (dettaglio), terzo decennio del XV sec., Francoforte, Städel Museum.

 

Ma che qualità straordinaria trasmetteva l’allattamento animale all’eroe, profano o cristiano che fosse? Penso che una risposta possa esserci fornita dal contesto nel quale il motivo si inscrive: per Orson come per gli altri enfants sauvages della letteratura eroica l’allattamento animale è un aspetto della più generale formazione animalesca del personaggio, che ha luogo nello spazio inumano della foresta; specularmente, per S. Egidio e gli altri santi avviene in un momento di allontanamento dalla civiltà degli uomini e di comunione con la natura attraverso la pratica dell’eremitaggio. In tutti i casi, dunque, l’allattamento animale è la conferma fisiologica, per così dire “genetica”, del processo di animalizzazione del protagonista. E’ solo attraverso questo momento di contaminazione – non solo simbolica ma carnale  – con l’Altro animale, e di trasgressione dei confini della civiltà, che di fatto Orson come Stefano, Romolo come Sant’ Egidio, acquisiscono una cifra sovrumana, miracolosa, un surplus eroico.

Bibliografia

D. Desclais Berkvam, Enfance et maternité dans la littérature française des XIIe et XIIIe siècles, Paris, Champion, 1981

P.-O. Dittmar, C. Maillet e A. Questiaux, «La chèvre ou la femme. Parentés de lait entre animaux et humains au Moyen Âge», Images Re-vues, 9, 2011 (risorsa on line, consultata il 3 marzo 2014)

O. Rank, Il mito della nascita dell’eroe, Milano, Sugarco, 1994 (1a edizione tedesca 1909)

Robert d’Orbigny, Le conte de Floire et Blanchefleur, publié par J.-L. Leclanche, Paris, Champion, 2003

J. Salisbury, The beast within. Animals in the Middle Ages, London, Routledge, 2011 (1a edizione 1994)

J.-C. Schmitt, Il santo levriero: Guinefort guaritore di bambini, Torino, Einaudi, 1982

F. E. Sinclair, Milk and Blood. Gender and genealogy in the chanson de geste, tesi di dottorato discussa presso l’Università di Edinburgo, 1997

Valentin et Orson, ed. and transl. by S. I. Schwam-Baird, Tempe (Ariz.), ACMRS, 2011

J. Voisenet, «Le bestiaire de la félonie», in Félonie, trahison, reniements au Moyen Âge, Montpellier, Univérsité Paul Valery, 1997, pp. 153-61.

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